ARTICOLI

Hub of Huts e le potenzialità della costruzione a secco

Manni Group intervista Gottfried Gruber, architetto dello studio NOA
17:07

Costruzioni a secco

Manni Group intervista Gottfried Gruber, architetto dello studio NOA

foto copertina © Alex Filz

 

Abbiamo incontrato l’architetto Gruber di studio NOA durante lo sviluppo dell’importante case study su Hub of Huts, la ormai celeberrima area wellness di Hotel Hubertus, una struttura ricettiva di lusso a Valdaora, in provincia di Bolzano.

Per garantire la fattibilità di questa particolare struttura, quasi un’opera d’arte, è stato inevitabile un importante gioco di squadra tra committenza, progettisti, carpentieri e fornitori, partito nella fase progettuale e arrivato fino a quella esecutiva.

Dal dialogo con l’architetto sono emersi moltissimi spunti di riflessione, soprattutto inerenti ad un nuovo modo di pensare e vivere l’architettura di oggi e di domani.

 

Lo studio NOA

NOA, acronimo di Network of Architecture, è un collettivo di architetti e designer dinamico e fortemente orientato verso una concezione del costruire innovativa, sostenibile e non convenzionale.

Lo studio si caratterizza per l’approccio curioso, smart e con una grande propensione a fare rete, in un’ottica sistemica nella gestione dei progetti. Il team è composto da oltre 30 creativi, architetti e interior designer che mettono in campo competenze, capacità e idee, seguendo un iter di lavoro che ha come focus il progetto, la sua storia e la sua vocazione.

Lo studio ha all’attivo numerose realizzazioni di grande prestigio e notevole impatto spaziale e sociale negli ambiti residenziale, commerciale, installazioni e hospitality design, campo in cui sono particolarmente noti ed apprezzati.

NOA è stato inoltre pubblicato su magazine e piattaforme digitali di rilievo internazionale, quali ad esempio Interni, Domus, dezeen, baunetz, ioArch, AD e Baumeister. Fra i lavori più acclamati dalla stampa rientrano la casa Messner House, il villaggio alpino Zallinger, l’hotel Hubertus con l’imponente piscina a sbalzo e la piattaforma wellness Hub of Huts.

 

Il loro modus operandi si basa su una ricerca accurata delle giuste sinergie tra i territori e le opportunità che offrono, per restituire progetti architettonici funzionali e virtuosi dal punto di vista estetico, sociale, economico ed ambientale. La filosofia cardine dello studio è il progetto inteso come percorso di conoscenza e strumento per raccontare storie, portando valore ai luoghi dove le architetture NOA vanno ad insediarsi.

 

L’architetto Gottfried Gruber

Gottfried Gruber si è laureato in architettura all'Università di Innsbruck. Già durante gli studi ha partecipato a workshop di architettura su scala internazionale e ha svolto diversi stage presso rinomati architetti altoatesini, come Bergmeister Wolf e Dellago Architekten. Dopo la laurea si è trasferito a Monaco per lavorare come architetto prima presso Moser Architekten e poi presso Schindhelm Architekten.

Dal 2020 è entrato a far parte di NOA. Tra i progetti realizzati figurano la piattaforma wellness Hub of Huts, apprezzata dalla stampa, e l'ampliamento dell'hotel Puradies a Leogang.

11©AlexFilz-8320B
foto © Alex Filz

L’intervista

M.G.: Il vostro modus operandi attinge dal vostro manifesto che parla di “un prodotto su misura pensato proprio per un certo luogo e per un certo progetto”.

In sostanza, la vostra è un’architettura che sviluppa delle soluzioni individuali, cioè calibrate di volta in volta sulla singola storia di un progetto. In quest’ottica, qual è il contributo da parte dell’edilizia off-site per raggiungere questo obiettivo?

Gruber: Praticare architettura e design oggi vuol dire affrontare i temi della sostenibilità, sia sociale che economica, senza mezze misure. Nei nostri progetti il punto di partenza è individuare le sinergie di ciascun territorio e le opportunità che esso ha da offrire, lavorando ad una soluzione progettuale adeguata al contesto di riferimento. E affinché questo intento sia percorribile, è necessario che tutti gli attori che concorrono alla realizzazione siano allineati.

Secondo il nostro punto di vista, collaborare con l’edilizia off-site comporta 3 vantaggi:

  • ottimizzazione dei tempi, grazie all’utilizzo di prodotti prefabbricati che ci consente di ottimizzare i tempi di lavoro sul cantiere. Ricorrere all’edilizia off-site è un grande vantaggio per noi. Come architetto progettista, la mia priorità è assicurare lo svolgimento dei lavori entro i tempi previsti e l’utilizzo di soluzioni prefabbricate ci permette di monitorare i tempi di lavoro in cantiere;
  • maggiore precisione, attraverso la gestione di un cantiere “corto”. In generale, un committente subisce una perdita economica ogni volta che si verificano ritardi. Lavorando molto nel settore dell’hospitality siamo molto sensibili a questo problema, perché le tempistiche sono particolarmente strette. Gestire l’intero iter di lavoro, quindi, ci permette di avere il massimo controllo della situazione, con tempistiche certe;
  • minimizzazione di inconvenienti, che possono determinare l’insorgere di reazioni a catena e problematiche di varia natura. Tutto, infatti, viene testato in fabbrica e montato e, ove necessario, si può intervenire con i macchinari per effettuare eventuali correzioni. Il supporto dell’edilizia off-site è senza dubbio un vantaggio su tutti i fronti, in quanto ci consente di gestire un cantiere praticamente senza inconvenienti o effettuare delle correzioni in corso d’opera, riuscendo sempre a rispettare le scadenze.

 

M.G.: Parliamo di sostenibilità e ambiente, temi più che mai attuali e sentiti. Data la vostra sede geografica, lavorate molto in zone montane. È riscontro comune che molti progetti abbiano un impatto visivo importante e affascinante, ma si tratta comunque di luoghi molto delicati, considerando la necessità di dover preservare l’ambiente e il relativo ecosistema. Come vedete la relazione tra architettura e impatto sull’ambiente circostante, anche in termini di sostenibilità?

Gruber: Fare architettura oggi vuol dire affrontare e risolvere inevitabilmente questioni legate alla sostenibilità sociale, economica e ambientale. Nello specifico, fare architettura sostenibile vuol dire ricercare e preservare un certo equilibrio tra territorio e opportunità di sviluppo. In pratica: non si guarda solo al progetto in sé o ad un ampliamento, ma si effettua prima di tutto una accurata panoramica generale nel luogo di riferimento. Ad esempio:

  • Zallinger è un albergo diffuso che si trova sull’Alpe di Siusi. Nello sviluppo e attuazione di questo progetto, abbiamo prestato particolare attenzione all’utilizzo di materiale sostenibile (il legno della zona), ma abbiamo anche partecipato alla creazione della cooperazione fra gli albergatori, coinvolgendo le parti affinché chiudessero la zona al passaggio delle macchine. Il turista, quindi, non può più accedere con il proprio mezzo, ma deve ricorrere ad un servizio-navetta con autobus o, in inverno, gatto delle nevi. Molti addirittura decidono di percorrere i 10 km di tragitto a piedi, trasformando l’arrivo in hotel in un rito di avvicinamento alla natura.
  • Hub of Huts, progetto della Famiglia Gasser dell’Hotel Hubertus. A fronte di un'architettura forte e - si potrebbe dire - "Instagram friendly”, le richieste di prenotazione sono sempre state alte. Grazie a questo si è riusciti ad attuare una policy di minimum stay della durata non inferiore a 7 notti. Niente turismo “mordi e fuggi”, quindi, ma un soggiorno più slow che permette al turista di scoprire lentamente il territorio ed apprezzarlo a fondo. Questo, in pratica, significa soprattutto meno check-in nell’arco di una settimana, meno passaggio di mezzi e minori rifacimenti delle stanze d’albergo, ridotti ad una volta a settimana.
  • Falkensteiner Family Resort Lido, un progetto nuovissimo, da poco pubblicato, in Val Pusteria. Qui siamo intervenuti sul recupero del suolo costruito sul tetto, reso completamente accessibile come zona pubblica o di riposo. Qui abbiamo ricavato un nuovo spazio accessibile che diventerà un giardino o un parco a disposizione dei bambini e delle famiglie.

Questi sono tre esempi indicativi che testimoniano come non basti utilizzare materiale sostenibile, ma “pensare” prima di tutto in ottica sostenibile con progetti di visione a medio e lungo termine.

06©AlexFilz-8764B

foto © Alex Filz

M.G.: Il vostro manifesto suggerisce un concetto di “nuova architettura”, al servizio dell’ambiente e della comunità. Si può quindi affermare che, nel rapporto tra tradizione e innovazione, nel vostro lavoro c’è un fil rouge che collega questi due elementi, un legame tra antico e moderno, tra preesistente e nuovo. Come si inserisce l’acciaio, come materiale, in questo dualismo?

Gruber: Il rispetto della storia di un edificio e del posto che lo accoglie passa attraverso un processo di consapevolezza, acquisita a sua volta da un equilibrio di esperienza e visione maturato nel tempo.

Abbiamo lavorato a diversi progetti con un Heritage architettonico molto importante: il Weiβes Kreuz a Innsbruck, il Monastero sul lago di Garda e l’Hotel Goldene Rose in Germania. Si tratta di tre edifici risalenti al XVI secolo, molto delicati da riprogettare.

Il Monastero è un edificio storico dal carattere molto imponente, quasi prepotente, ma con una forma architettonica ben definita: due volumi con altezza chiara e forma dritta. Alla richiesta di progettare l’area wellness nel giardino, abbiamo lavorato sulla creazione di volumi leggeri in vetro e acciaio che alleggeriscono ed equilibrano l’imponenza del volume storico con la loro leggerezza, in un sapiente gioco di vuoti e pieni. L’intento è stato ripensare la linea architettonica in contrasto con quella preesistente per non appesantire ulteriormente il tutto. Per raggiungere questo obiettivo, l’acciaio si è rivelato l’elemento perfetto.

 

M.G.: Parliamo ora di Hub of Huts, una struttura davvero particolare, unica nel suo generee la protagonista di questo confronto. Com’è nato questo progetto? Come si è arrivati a questo disegno? Quali erano le esigenze della committenza?

Gruber:L’idea di Hub of Huts trae ispirazione dalla sky pool dell’Hotel Hubertus, realizzato circa 8 anni fa e diventata famoso proprio perché si tratta di un progetto architettonico fuori schema. L’obiettivo era ottenere una struttura il più possibile leggera, lo stesso da perseguire anche per la wellness, staccata addirittura dal corpo principale dell’Hotel.

Il pensiero architettonico è nato osservando attentamente i riflessi delle montagne dell’ambiente circostante specchiate nell’acqua. L’impatto scenografico era molto potente e volevamo riproporre questo scenario anche nell’ampliamento della zona wellness. In sostanza, abbiamo ricreato una sorta di upside-down: con un movimento a 180°, abbiamo “giocato” con la linea dell’orizzonte e con il punto di vista dello spettatore. Il risultato è stato un effetto quasi surreale, che quasi impedisce di comprendere qual è il sopra e quale il sotto.

In questo progetto, la nostra fortuna è stata avere carta bianca da parte del committente, che per un architetto è cosa rara. Il suo desiderio era vedere qualcosa che suscitasse stupore e noi abbiamo cercato di realizzare un lavoro veramente speciale, unico.

Dal punto di vista dell’impiego dei materiali, ecco alcuni numeri interessanti:

  • 125 tonnellate di acciaio per la struttura di statica e 24 tonnellate solo per l’acqua delle piscine. La struttura statica è stata assemblata a terra, sollevata in posizione e fissata con l’aiuto di due gru montate su camion. Successivamente la struttura è stata messa in posizione e fissata.
  • Per quanto riguarda la modalità di assemblaggio, la struttura poggia su 2 travi principali, ognuna con tre segmenti avvitati in loco e ancorate a una base di calcestruzzo. Gli spazi tecnici per le saune e per la piscina sono ricavati dalle falde del tetto specchiato. La sfida per la statica non era quella di permettere la stabilità della piattaforma, ma di calcolare in anticipo la deformazione a causa delle 150 tonnellate, in modo che l’acqua delle vasche scorresse uniformemente su tutti i bordi della piscina. Gli ingegneri strutturali hanno quindi dovuto prevedere con precisione la deformazione, per garantire che l’acqua dell’Infinity pool non cadesse solo da un lato, ma uniformemente da tutti e quattro i lati.

M.G.: L’acciaio è senza dubbio un elemento che utilizzate anche in altri progetti ad alta quota, per esempio, abbiamo visto il picco di Ötzi. Come mai questa scelta?

Gruber: Prima di tutto è importante comprendere il contesto in cui ci si trova. La piattaforma è stata progettata e costruita a 3250 metri sul ghiacciaio della Val Senales, vicino a dove è stata trovata la mummia Ötzi. Lo scenario è piuttosto impervio ed è possibile costruire solo per uno, massimo due mesi all’anno e cioè nei mesi di luglio e agosto, quando non c’è neve. Da qui la decisione di utilizzare l’acciaio, che ci ha consentito di realizzare la piattaforma a valle e trasportarla poi con l’elicottero in vetta a singoli pezzi, per assemblarla in loco. Ma non è solo questo il motivo di tale scelta: l’acciaio, infatti, è uno dei pochi materiali che resiste a condizioni climatiche estreme, a differenza del legno. La piattaforma poggia su singoli punti e tocca la montagna solo ove necessario: questo ci consentirà, se richiesto in futuro, di togliere la struttura senza danneggiare minimamente il territorio. La scelta dell’acciaio corten, inoltre, ha reso tutto il progetto ancora più in sintonia con l’ambiente: questa lega particolare, infatti, cambia colore integrandosi perfettamente con il paesaggio circostante. È come se l’architettura fosse a tutti gli effetti un elemento del luogo, subendone gli elementi come il freddo, il sole, il vento.

Infine, la piattaforma ha una forma organica: se la si guarda dall’alto, essa sembra essere un prolungamento del ghiacciaio, in una resa ottica davvero spettacolare.

03©AlexFilz-8670B

foto © Alex Filz

M.G.: Alla luce di quanto è emerso, ha qualcosa da aggiungere o delle riflessioni da condividere, in particolare sul “pensiero” che precede l’intero iter creativo e di costruzione?

Gruber: Tutto ha inizio con una parola d’ordine: visione. Nella mente dell’architetto la visione deve essere chiara già in fase embrionale: nella definizione dei volumi, nella forma del progetto, nella scelta del materiale e relative fasi in cui esso viene utilizzato. Bisogna inoltre pensare fin da subito non solo alla superficie visibile, ma anche a quella non visibile.

Noi disegniamo tutto in 3D con software che ci chiedono applicare il materiale e la relativa texture. Nel momento in cui disegniamo l’oggetto, il software può già calcolare i costi, la superficie o la massa. Ad esempio, con il progetto Hubertus Hub of Huts, la domanda era un po’ particolare e non era chiaro se questo tipo di costruzione fosse fattibile. In quel caso, fin dalla prima fase abbiamo iniziato a relazionarci con gli ingegneri statici per l’utilizzo del materiale. È infatti inutile presentare un progetto in comune, se poi questo progetto non riuscirà a vedere la luce. Il materiale è la parte più importante dell’intero progetto.

 

M.G.: Come Manni Group, in che modo possiamo contribuire nel darvi maggiori informazioni o supporto in più in una fase preliminare di messa in opera dei progetti. Magari tramite l’utilizzo di software come BIM, ad esempio? O, in generale, un contributo per supportarvi nell’acquisizione di certificazioni, come Leed Platiunum?

Gruber: Senza dubbio, avere delle informazioni ulteriori sulle misure e le modalità di trasporto del materiale può essere di grande aiuto. Ad esempio, nel caso del progetto Hub of Huts, le travi erano alte 1,70 m e 3 segmenti sui 25 metri circa. In quel caso, non ci era chiaro se avessimo avuto la possibilità di portare queste travi a valle o saremmo riusciti a salire i tornanti con i camion.

Anche il tema BIM ci riguarda molto, soprattutto in relazione all’utilizzo di oggetti già impostati nel software. Sicuramente si tratta di un supporto molto valido che ci aiuta a capire quali elementi importare e valutare così se sono funzionali e idonei per un determinato progetto. Avere l'informazione già in un 3D model sarebbe stato utilissimo per capire già in principio la fattibilità.

 


 

Le soluzioni di Manni Group sono un prezioso input per professionisti che si prestano alla realizzazione di progetti sempre più innovativi.

Nello specifico la tecnologia, le competenze e l’expertise dei centri servizi Manni Sipre riescono a fornire i propri clienti con prodotti siderurgici pre-lavorati ideali per raggiungere quegli obiettivi di sostenibilità e ottimizzazione dei tempi che la nuova “era" del costruire richiede.

Scopri la case study su Hub of Huts nata dalla collaborazione tra NOA e Manni Group.

 

 

 

Scritto da

Raffaele Bulgarelli - Digital Marketing Expert presso Manni Group
Raffaele Bulgarelli - Digital Marketing Expert presso Manni Group

Raffaele, Digital Marketing Expert di Manni Group, collabora in modo sinergico con Isopan entrando in contatto con il mondo tecnico del pannello sandwich e osservando i trend evolutivi dell’edilizia. Grazie alla formazione in Architettura ha un occhio attento su temi e attività online che coinvolgono i progettisti e gli architetti.

Vai alla scheda dell'autore