In questa intervista di Architectural Talks, Manni Group incontra l’architetto Nicholas Bewick di AMDL Circle, lo studio di architettura, design e grafica fondato dall’architetto Michele De Lucchi, conosciuto in tutto il mondo per le sue opere progettuali.
Ecco che cosa troverai in questo contenuto:
AMDL Circle: lo studio di Michele De Lucchi
AMDL Circle è lo studio di architettura fondato a Milano nel 2019 da Michele De Lucchi, architetto, designer e scrittore, dal quale prende il nome: l’acronimo viene infatti da Architetto Michele De Lucchi, insieme a Circle, che sta ad indicare tutte le menti creative dietro lo sviluppo dei progetti.
Lo studio racchiude i 37 anni di esperienza di Michele De Lucchi, che lo dirige insieme ad Angelo Micheli. Riunisce un gruppo di progettisti esploratori ed innovatori interdisciplinari ed ha un’impronta fortemente umanistica.
Ai progetti dello studio collaborano infatti artisti, antropologi, psicologi, umanisti, futurologi ed altre menti che contribuiscono all’elevata qualità delle opere.
Tra i progetti realizzati da AMDL Circle troviamo:
Nella nostra intervista, Nicholas Bewick, Art Director & Project Director di AMDL Circle nonché collaboratore di lunga data di Michele De Lucchi, racconta a Daniel Elber, Chief Marketing and Communications Officer di Manni Group, il pensiero dello studio sui temi della modularità e della sostenibilità nell’architettura.
Nicholas Bewick spiega l’impegno nel riutilizzo dei componenti impiegati nei loro progetti e come questi ultimi non siano quasi mai fini a se stessi, bensì inseriti in una visione più ampia che tiene conto anche delle opere realizzabili in futuro.
Come vedremo nel corso dell’intervista, il tema della sostenibilità è molto caro allo studio che, grazie alle idee visionarie del fondatore, vuole sfidare lo status quo per trovare nuovi modi di costruire un futuro migliore.
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L’intervista di Manni Group a Nicholas Bewick di AMDL Circle
Di seguito entriamo nel vivo dell’intervista a Nicholas Bewick di AMDL Circle.
AMDL Circle ovviamente è molto legata al mondo del design: ciò significa sicuramente dover affrontare le tematiche della produzione in serie, la modularità e quindi la complessità dietro di esse. Viene trasposto qualcosa nell’architettura? Se sì, è per voi un beneficio o una complessità? Come la interpretate?
Quello della modularità è un grandissimo tema che mi affascina: un po’ per le radici britanniche della scuola di architettura che ho frequentato, ma anche per il modo di pensare e razionalizzare il progetto.
Nel nostro studio non abbiamo una logica così precisa e definita: in un certo senso, cerchiamo di “rompere” quella che è la modularità. In questo momento c’è sempre più un interesse nell’adattabilità, nel life cycle, nella riusabilità dei nostri edifici e prodotti.
Non parlo del controllo delle dimensioni, ma dell’idea di disassemblare i nostri progetti e riutilizzare le componenti.
Costruzioni più leggere che si possano smontare per dare nuova vita alle componenti utilizzate: si lega anche a questo aspetto?
Sì, è un tema sempre più attuale. Non abbiamo la bacchetta magica o la soluzione, ma per noi sta diventando molto importante cercare di immaginare come i nostri progetti possano essere riutilizzati, cambiati e vissuti diversamente.
Non pensiamo quasi mai ad un progetto “chiuso” e fine a se stesso, senza questa prospettiva.
In quale momento della progettazione si sceglie quale tecnologia costruttiva impiegare? Nei primi stadi o dopo che l’idea creativa è già stata sviluppata?
Io penso che anche dal primo schizzo, dalla prima idea, ci sia già l’intenzione di fare un progetto in acciaio, legno o pietra. Credo faccia parte del nostro DNA, di come sviluppiamo i progetti, e quella scelta è legata a una sensibilità rispetto al materiale, al luogo, al clima, al contesto storico, all’ambiente, all'impatto di quello che stiamo facendo.
La parola “sostenibilità” è molto importante in questo momento. Non credo molto nel doverlo fare per forza, cioè al seguire una serie di regole legate ad un sistema di certificazioni.
Spero che abbiamo la capacità, la sensibilità, la creatività di scegliere quello che è giusto, e questo viene dall’esperienza, dal rapporto col fornitore e con le persone che producono i nostri progetti.
L’investitore a volte fa delle richieste specifiche sul prendere una strada piuttosto che un’altra? Ci sono delle influenze su questo aspetto o di solito siete liberi?
In genere siamo abbastanza liberi. Penso che, in ogni caso, chi viene da noi a chiedere un progetto accetti che la scelta del materiale e del modo di costruire faccia parte del nostro modo di pensare e accettano la nostra posizione su certi temi.
AMDL Circle è molto improntata alla sostenibilità. Quali sono i suoi suggerimenti o previsioni che vuole dare ai progettisti rispetto a questo tema?
Noi come studio pensiamo che, alla fine, la grande qualità del progetto stia nel come lavoriamo con la natura.
L’edificio è un contenitore, uno spazio, poi la vera sfida -in un certo senso- è lavorare sempre di più con la natura, e di capire il rapporto che abbiamo con essa, i benefici che possiamo trarne, imparare dal mondo naturale e cercare di capire come può aiutare la nostra situazione per cercare di rallentare i danni che stiamo causando alla terra in questo momento.
Dicono che dovremmo piantare più di un trilione di alberi per cercare di rallentare il problema che abbiamo oggi. Speriamo che la sostenibilità diventi una priorità per tutti.
Il vostro studio è molto noto anche per l’approccio visionario in sé. Vuole raccontarci qualcosa di più su Earth Stations?
Il progetto Earth Stations nasce da una serie di pensieri di Michele, per noi non è un progetto che sentiamo di dover costruire.
Spesso l’architetto è contento di comunicare su quello che ha già fatto. Noi vogliamo comunicare quello che vogliamo fare in futuro, e Earth Stations è la nostra visione dello spazio, di come possiamo condividere ambienti, collaborare, arrivare e poi partire, nel senso di giungere a una destinazione per portare avanti la mente, il modo di pensare sul futuro e sperare poi di migliorarlo.
Sono progetti positivi, nel senso che cercano di dimostrare che possiamo utilizzare l’architettura per migliorare il nostro mondo.
Quali suggerimenti si sente di dare ai giovani progettisti di YACademy?
Io penso che la curiosità sia una cosa fondamentale. Bisogna vivere con gli occhi aperti, non solo gli studenti di YACademy, ma tutti.
Credo ci sia una grande discussione in questo momento su cosa sia il lavoro di un architetto.
Spero che questo dibattito, questa recente sensibilità e le nuove opportunità, portate sia dalla tecnologia che da un modo diverso di pensare e di condividere, possano creare una visione nuova ma anche -in un certo senso- radicale.
C’è spazio per i giovani per produrre nuove soluzioni, nuove idee per il nostro futuro.
Spero che, come noi abbiamo avuto questa opportunità, anche le nuove generazioni abbiano la stessa possibilità di fare qualcosa di importante.
Leggi le parole dei principali attori dell'architettura internazionale nelle interviste agli Archistar di Manni Group realizzate in collaborazione con Yacademy.