Nello scenario normativo in cui ogni giorno architetti e progettisti operano per la realizzazione di edifici sempre più sostenibili, esistono ancora alcuni punti oscuri e non ben definiti rispetto a come vengono regolamentate alcune tecniche costruttive che prevedono l’impiego di elementi in acciaio lavorati a freddo, tecnicamente conosciuti con il nome di profili di classe quattro.Qual è la situazione normativa Italiana ed Europea per quanto concerne l’uso effettivo dei profili sottili di acciaio piegati a freddo nel settore delle dry construction?
E per quanto riguarda, invece, le sollecitazioni eoliche?
Questi sono alcuni dei temi trattati nell’intervista del Prof. Marco Imperadori, Professore Ordinario di Produzione Edilizia, titolare della cattedra di Progettazione e Innovazione Tecnologica, delegato del Rettore per l’Estremo Oriente Politecnico di Milano., al professor Raffaele Landolfo, Professore Ordinario di Tecnica delle Costruzioni presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.
Sommario:
Raffaele Landolfo studia alla scuola di Ingegneria di Napoli, dove si laurea con lode nel 1987, conseguendo il titolo di Dottore di Ricerca di Ingegneria delle Strutture nel 1992.
Ricercatore universitario dal 1995 è diventato Professore Ordinario di Tecnica delle Costruzioni nel 2000 ed ha, tra l’altro, ricoperto il ruolo di Direttore del Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e l’Architettura dal 2013 al 2018.
Tra le diverse attività di insegnamento, è attualmente titolare dei corsi di “Teoria e Progetto delle strutture in Acciaio” presso la Scuola di Ingegneria e “Laboratorio di Tecnica delle Costruzioni” nella Scuola di Architettura.
In ambito scientifico, ha coordinato numerosi progetti di ricerca nazionali ed internazionali nel campo della progettazione sismica delle strutture in acciaio, delle costruzioni leggere, del progetto dei collegamenti e della sostenibilità.
La produzione scientifica annovera oltre 500 memorie, molte delle quali pubblicate su riviste nazionali ed internazionali, e diversi libri. In ambito normativo, è stato Presidente dell’European Convention for Constructional Steelwork (ECCS), dove attualmente riveste il ruolo di Chairman del Technical Committee n.13 - Seismic Design.
Inoltre è Convenor del CEN/TC250/SC8/WG2 sulle “Strutture in acciaio e composte” ed è stato recentemente eletto Presidente della Commissione Ingegneria Strutturale dell’UNI.
Marco Imperadori: Qual è il quadro normativo odierno Italiano in materia di profili sottili in acciaio formati a freddo?
Raffaele Landolfo: Innanzitutto, quando si parla di profili sagomati a freddo, credo che sia importante chiarire preliminarmente alcuni aspetti.
In primo luogo, occorre ricordare che la denominazione di profili sottili piegati a freddo serve a differenziare questi prodotti siderurgici dai profili laminati a caldo che, come dice il nome stesso, hanno un processo produttivo completamente diverso e al quale corrispondono specifiche proprietà geometriche e meccaniche.
Quando parliamo di profili sottili piegati a freddo siamo nel campo dell'ultraleggero, ossia intendiamo profili metallici di spessore dell'ordine del millimetro, molto più piccolo, quindi, rispetto agli spessori tipici dei laminati a caldo. Inoltre, questi profili essendo prodotti a partire da lamierini metallici zincati risultano essere già “protetti” nei confronti della corrosione.
A queste differenze tecnologiche, occorre poi aggiungere quelle legate alle prestazioni strutturali. Sotto questo aspetto i profili sottili piegati a freddo, proprio a causa dell’esiguità degli spessori in gioco, sono esposti a tutte le forme di instabilità che possono interessare una membratura metallica, ossia fenomeni di instabilità locale, globale e/o distorsionale.
Ne consegue quindi che, proprio per queste loro peculiarità, per questa tipologia di profili è necessario far riferimento a specifiche norme tecniche capaci di tenere adeguatamente in conto sia delle problematiche strutturali tipiche delle “sezioni snelle o di classe quattro”, sia degli aspetti geometrici tecnologici legati al particolare processo produttivo che li caratterizza. Per quanto riguarda il quadro normativo, come per tutti i prodotti in acciaio, anche nel caso dei profili sottili piegati a freddo ci sono norme relative alla produzione, norme relative alla progettazione, nonché norme per la realizzazione di sistemi strutturali.
Tra le norme prodotto il documento principale è la norma UNI EN 10346 che fornisce le condizioni tecniche di fornitura dei prodotti piani di acciaio rivestiti, solitamente utilizzati per realizzare questa tipologia di profili.
Relativamente alle norme per la progettazione, il riferimento, a livello europeo, è la norma UNI EN 1993-1-3 che, nell’ambito della serie di documenti che costituiscono l’Eurocodice 3 per la progettazione delle strutture in acciaio, è per l’appunto quello che regolamenta l’impiego dei profili sottili piegati a freddo.
A livello nazionale, non esiste invece una norma specifica per la progettazione dei profili sottili, ma sono solo disponibili alcune indicazioni progettuali nella Circolare Applicativa delle Norme Tecniche per le Costruzioni.
Si tratta di regole di progetto sostanzialmente analoghe a quelle riportate nell'Eurocodice 3 parte 1-3, fornite però in una forma molto più sintetica. Nel contesto italiano occorre menzionare la norma CNR 10022, che tratta nello specifico questo tipo di profili, ma essendo un documento ormai datato non può essere certamente considerato un riferimento attuale per la progettazione. Per quanto riguarda infine le norme relative alla realizzazione di sistemi strutturali, va ricordata sicuramente la UNI EN 1090-4, che fornisce i requisiti per l’esecuzione delle strutture realizzate con questa tipologia di profili.
In definitiva, a livello di singolo elemento strutturale, possiamo quindi affermare che il quadro normativo relativo ai profili sottili in acciaio piegati a freddo è indubbiamente completo, aggiornato e maturo.
Purtroppo lo stesso non può dirsi con riferimento ai sistemi strutturali più complessi, come ad esempio è quello costituito dall’intera ossatura portante di un edificio realizzata esclusivamente mediante l’impiego di profili sottili piegati a freddo. In questo caso, occorre innanzitutto sottolineare che la concezione della struttura deve necessariamente tener in conto della ridotta capacità portante che hanno questi profili rispetto a quella dei tradizionali profili laminati a caldo.
Ne consegue quindi che nel concepire la struttura dell’edificio non si potrà più fare riferimento alle classiche tipologie strutturali articolate in travi e colonne, ma si dovrà necessariamente pensare ad una soluzione ad hoc che sia funzionale alla ridotta capacità portante del singolo profilo.
In tale prospettiva, la tipologia più comunemente utilizzata per realizzare la struttura portante di un edificio utilizzando profili sottili piegati a freddo è quella che si ispira ai sistemi in legno tipo balloon frame o platform frame che nel caso specifico viene tecnicamente identificata come “Lightweight Steel Framed Construction”.
In tale soluzione, il singolo elemento piegato a freddo diventa così il componente di base di un sistema strutturale più complesso, articolato in pareti portanti costituite da montanti e guide che, all’occorrenza, possono anche sfruttare la collaborazione dei pannelli di rivestimento. Purtroppo, come già precedentemente sottolineato, una delle principali limitazioni alla diffusione di questa tecnologia costruttiva, che risulta essere molto competitiva sotto diversi aspetti, è proprio la mancanza, al momento, di un preciso quadro normativo di riferimento.
M.I.: È quindi fondamentale fare uno scatto normativo di recupero sull’intero sistema. Se non viene disciplinato tutto questo modo di costruire, ci ritroviamo scoperti rispetto ad altre filiere.
R.L.: Assolutamente sì. Questo è il motivo per il quale, da oltre 15 anni, mi dedico allo studio di questi sistemi. Soprattutto, cerco di trovare e di sperimentare regole specifiche per le applicazioni in zona sismica. Ovviamente questi sistemi possono essere adottati anche in zona non sismica, ma in ogni caso è fondamentale avere una normativa tecnica di riferimento per la progettazione.
M.I.: Tra l’altro, tu hai seguito un edificio con queste tecniche a Napoli, quindi in una zona super sismica. Eri negli “Stati Uniti a Napoli”: ti trovavi nella base NATO e lì hai realizzato la scuola con tutte queste caratteristiche, dimostrando, appunto, l’effettiva possibilità di concretizzazione di questo progetto in una zona altamente sismica e in una città “storica”, in cui troviamo massicci muri in pietra. È stato possibile grazie a queste soluzioni tecnologiche realizzate con sistemi a freddo leggeri e in seguito a pannelli di controventatura in modo da irrigidire la forma scatolare.
R.L.: Hai citato un’esperienza pioneristica, sicuramente molto importante, sia sotto l’aspetto professionale, sia come applicazione di anni di studio e di ricerche sul tema. In quel caso, fu proprio la circostanza che la costruzione fosse ubicata all'interno di una base militare NATO a permettere, almeno nella fase iniziale, il superamento del gap dovuto alla mancanza di una normativa nazionale, potendo a quel punto fare riferimento alle normative esistenti a livello internazionale e precisamente a quella americana e canadese.
Questo scenario purtroppo si complicò nella fase finale, allorquando la committenza ritenne di non poter prescindere dal fatto che la costruzione fosse comunque realizzata in Italia e pretese quindi la conformità anche alla norma italiana, con relativo collaudo ai sensi della Legge 1086. Poiché le Norme Tecniche non contemplavano esplicitamente questa tipologia, l'unico modo per arrivare al collaudo dell'opera fu attraverso il ricorso alla sperimentazione.
Di concerto con i collaudatori fu quindi pianificata ed eseguita una specifica campagna sperimentale su pareti in scala reale per accertare che le prestazioni strutturali di tali elementi sotto l’azione di carichi verticali ed orizzontali fossero conformi alle previsioni progettuali e soddisfacessero i requisiti normativi.
M.I.: In questo periodo vedo i carpentieri o i gruppi come Manni Group che investono tanto in queste nuove tecnologie, che stanno prendendo piede anche perché rispetto al legno hanno dei vantaggi in fase di cantiere. Quindi, perché il quadro è carente? A cosa imputi questa mancanza?
R.L.: Come già sottolineato, attualmente, sia a livello Italiano che Europeo, non esiste una norma di riferimento per queste costruzioni leggere realizzate in questo modo. È quindi fondamentale in primo luogo adoperarsi per superare questo gap normativo, consapevoli del fatto che le modifiche normative sono generalmente non semplici e richiedono spesso tempi molto lunghi.
In Europa abbiamo colto al volo l’occasione che si è presentata a seguito della procedura di aggiornamento che ha riguardato tutti gli Eurocodici e che si avvia alla conclusione. Personalmente ho fatto parte del gruppo di esperti che si è occupato, tra le altre cose, dell’aggiornamento del capitolo “acciaio” dell’Eurocodice 8 sulla progettazione sismica. In tale contesto ho quindi proposto l’introduzione di una parte specifica dedicata alla progettazione di queste strutture leggere, raccogliendo un consenso unanime.
Nella nuova versione della norma europea è quindi previsto un capitolo specifico più un annesso tecnico, entrambi dedicati alla progettazione sismica dei sistemi Lightweight Steel Framing nei quali sono contemplati sia la soluzione tutto acciaio, ossia pareti di aste controventate con piatti metallici ad X, sia le soluzioni che sfruttano la collaborazione dei pannelli di rivestimento a base di gesso, legno o lamiere di acciaio.
Sebbene il processo di aggiornamento di questo nuovo Eurocodice non sia ancora formalmente concluso, la norma ha già superato diversi livelli di approvazione tecnica per cui possiamo ritenere, con soddisfazione, che almeno a livello europeo il gap normativo è stato colmato. Naturalmente il passo successivo sarà quello di agire anche a livello normativo nazionale, ma per questo si dovrà necessariamente aspettare la prossima fase di aggiornamento delle NTC che dovrebbe partire a breve. Ritengo però che, anche in considerazione di quanto già avvenuto a livello europeo, anche a livello nazionale l’inclusione nella normativa di questi sistemi è soltanto una questione di tempo.
M.I.: La norma riguarda anche i pannelli sandwich poliuretanici?
R.L.: No, è contemplato solo il caso di una singola lamiera di acciaio. La collaborazione dei pannelli sandwich, perlomeno a livello normativo, è al momento considerata solamente nelle applicazioni per edifici industriali.
M.I.: E per quanto riguarda, invece, le sollecitazioni eoliche causate da situazioni con temporali, venti molto forti e altre situazioni climatiche che introducono quel tema? Ci sono state evoluzioni anche in quel senso?
R.L.: Come dicevo prima, uno dei punti di forza di queste strutture sotto l’aspetto sismico è la loro leggerezza che contribuisce a ridurre l’azione sismica che, come è noto, è proporzionale alla massa dell’edificio. Inoltre, non bisogna dimenticare che la corretta concezione strutturale di questi edifici porta a garantire per essi un “comportamento scatolare”, che assicura generalmente una buona risposta della costruzione, a livello globale, nei confronti di tutte le azioni orizzontali, ivi compreso il vento.
Naturalmente, nel caso del vento, particolare attenzione va posta alle verifiche nei confronti di meccanismi di collasso locali, che potrebbero interessare in particolare i rivestimenti. A tale riguardo, credo che i problemi maggiori a livello normativo siano soprattutto legati alla definizione dell’azione del vento: gli eventi che stiamo vivendo anche in questi ultimi giorni con azioni climatiche, anche molto violente, aprono indubbiamente il problema della corretta valutazione e modellazione delle azioni rispetto alle quali progettare i sistemi strutturali.
M.I.: Visto che abbiamo parlato in modo tecnico di soluzioni scatolari e aerodinamiche, mi viene in mente la Scuola di Tecnica delle Costruzioni del Professor Giuriani, che era un aeronautico anche se poi lavorava con cemento armato, e amava molto la tecnologia dei gusci sottili in c.a. Questi invece sono gusci sottili scatolari, fatti di nervatura e di strati che ricordano un edificio simile a un aereo o a un’automobile, cioè fatto di ossatura e pelli, che fissate insieme danno qualcosa di più della sola ossatura o della sola pelle, e questo è qualcosa che, secondo me, li qualifica come sistemi veramente evolutivi e innovativi, come lo sono anche i timber frame in legno.
R.L.: In aggiunta questi sistemi si prestano particolarmente al concetto di progettazione integrata: si ha la possibilità di utilizzare la “pelle” non soltanto dal punto di vista del comfort acustico, ambientale o energetico ma anche strutturale. Un elemento che svolge più funzioni in un'ottica di grande ottimizzazione.
M.I.: Questo è il motivo per cui li chiamiamo sistemi 5.0. Sono edifici che assomigliano sempre di più a navicelle spaziali o ad aerei ultraleggeri rispetto al modo a cui siamo abituati a costruire massivo e pesante: pensiamo anche alle potenzialità di sopralzo e di estensioni.
A questo proposito, aggiungo anche una domanda sulle estensioni: spesso si ha in mente l’estensione 3D, ma per quanto riguarda invece quella 2D che aiuta qualcosa di esistente, ad esempio un telaio in cemento armato con tamponamento che potrebbe essere una zavorra che viene esplosa, si può creare una incamiciatura con questi sistemi a più pannelli?
R.L.: Sì. Per collegarmi alla domanda precedente, c’è il tema delle pareti non portanti che si possono realizzare con questa tecnologia. Dal punto di vista progettuale, si entra in un altro contesto perché, tecnicamente, si tratta di elementi non strutturali che devono comunque rispettare, soprattutto in zona sismica, determinati requisiti di sicurezza e funzionalità. Nel caso delle tamponature, ad esempio, occorre evitare fenomeni come il ribaltamento e l'espulsione. Dal punto di vista normativo, però, come già sottolineato, seguono una strada completamente diversa perché si parla in questo caso di elementi non strutturali.
Quello che va fatto è cercare di combinare questi due aspetti ossia pensare alla possibilità di utilizzare questi sistemi leggeri anche nell’ottica degli interventi locali negli edifici esistenti, per esempio per evitare fenomeni come il ribaltamento o l'espulsione dei tompagni e/o lo sfondellamento dei solai.
Queste soluzioni consentirebbero da un lato di sfruttare la semplicità e la facilità di posa in opera, ma avrebbero anche il vantaggio di poter combinare efficacemente più funzioni come, per esempio, il caso di un cappotto termico che svolga anche un'azione di contenimento nei confronti del ribaltamento della parete.
M.I.: Tempo fa, tu e io seguimmo una tesi nella quale parlavamo di questo concetto paragonandolo ad una sorta di airbag della casa o della stanza: un involucro protettivo, dove sia possibile. Ovviamente, non si parla di collasso complessivo ma uno parziale con membrature di tamponamento.
R.L.: Certo. Questi sono campi al momento ancora poco esplorati, ma secondo me, abbiamo il know-how per poter anche pensare a soluzioni di questo genere, che deriva anche dagli oltre quindici anni di ricerche e sperimentazioni fisiche. L’Italia è sicuramente uno dei Paesi più effervescenti da questo punto di vista perché ci sono moltissime realtà che si stanno lanciando verso questo tipo di business. Credo che con il supporto anche da parte del mondo tecnico-scientifico e con un quadro normativo di riferimento aggiornato l’intera filiera si rinforza.
M.I.: Il libro recentemente pubblicato da Marta Sesana introduce e fa vedere un mondo che è partito dopo rispetto a quello del legno ma che ha recuperato moltissimo. Secondo me, in qualità ci si confronta e chi è più bravo in una filiera o nell’altra lo dimostrerà. Personalmente, vedo molta possibilità di ricerca su questo concetto “scheletro pannello”, (sandwich, in schiuma poliuretanica o in lana minerale) perché non è ancora stato fatto nulla su questo. Avendo la fortuna di avere il Manni Group che li fa entrambi, ci vedo un enorme potenziale.
R.L.: Come già sottolineato, la possibilità di utilizzare il contributo dei pannelli sandwich a livello normativo europeo è già prevista e riguarda in genere gli edifici di tipo industriale. Esiste una metodologia conosciuta come Stressed Skin Design che consente di portare in conto il contributo dei pannelli dell’involucro, anche di tipo sandwich, attraverso la schematizzazione di questi come diagonali equivalenti. Questa norma, però, è pensata soprattutto per gli edifici industriali e andrebbe aggiornata per l’applicazione alle altre tipologie costruttive, come appunto quelle degli edifici residenziali in zona sismica. Un motivo in più per continuare a fare ricerca in questa direzione!
Professore Ordinario di Produzione Edilizia, titolare della cattedra di Progettazione e Innovazione Tecnologica, delegato del Rettore per l’Estremo Oriente Politecnico di Milano. Membro della commissione sostenibilità di Fondazione Promozione acciaio. - (Fotografia di A. Avezzù)
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