Viviamo in un’epoca in cui la vita digitale scorre invisibile tra algoritmi e cloud, ma ogni clic, ricerca o streaming si traduce in un consumo di energia molto concreto. Dietro la leggerezza apparente della “nuvola”, infatti, si nasconde una rete fisica fatta di edifici energivori, server, acqua e acciaio: i data center, infrastrutture oggi imprescindibili per la transizione digitale ma al tempo stesso protagonisti di un impatto ambientale crescente.
Per Carlo Battisti, presidente di Living Future Europe, è proprio qui che si gioca una delle partite più importanti per l’architettura rigenerativa: “Dobbiamo passare da una logica di riduzione del danno a una di creazione di valore ambientale e sociale. Non basta più costruire data center meno impattanti: serve che diventino elementi positivi per l’ambiente e per le comunità”.
Ripensare i data center come parte della città
Oggi i data center consumano circa l’1,5% dell’energia elettrica globale, una quota destinata a raddoppiare entro il 2030. A ciò si aggiungono la domanda idrica per il raffreddamento dei server e le emissioni legate alla produzione e allo smaltimento dell’hardware. Un impatto enorme, che impone un cambio di paradigma.
Secondo Battisti, il primo passo è superare l’idea del data center come infrastruttura isolata e invisibile, collocata ai margini dei centri urbani. “Un approccio rigenerativo”, spiega, “significa invece immaginare questi edifici come risorse integrate nel territorio, capaci di restituire calore, acqua, energia e servizi alle comunità circostanti”.
È quanto già accade a Stoccolma, dove oltre venti data center sono connessi alla rete di teleriscaldamento cittadina, fornendo circa l’1,5% del fabbisogno termico della città e riducendo le emissioni di CO₂. In Germania, il campus Virtus di Berlino nasce accanto a un parco eolico e punta alle emissioni nette zero entro il 2030.
Energia, acqua e materiali: verso data center a impatto positivo
L’efficienza energetica e l’uso di fonti rinnovabili rappresentano i pilastri di questa trasformazione. Alcuni progetti pionieristici, come l’EcoDataCenter in Svezia, operano interamente con energia rinnovabile e recuperano il calore dei server per alimentare industrie e abitazioni locali.
Ma la rigenerazione non riguarda solo l’energia. Anche la gestione dell’acqua è cruciale: “I data center tradizionali consumano miliardi di litri d’acqua ogni anno per il raffreddamento”, ricorda Battisti. “Le nuove tecnologie chiuse a ciclo continuo, l’uso di acque grigie o piovane e sistemi di raffreddamento a liquido sui chip possono azzerare il prelievo di acqua potabile”. Il progetto pilota di Microsoft a Phoenix, ad esempio, evita la perdita di oltre 125 milioni di litri d’acqua per impianto all’anno.
Sul fronte dei materiali, la sfida è ridurre l’impronta incorporata e allungare il ciclo di vita delle apparecchiature. In ottica circolare, si progettano server modulari smontabili, facciate in legno lamellare al posto del cemento e programmi di recupero dei metalli e delle plastiche, chiudendo il cerchio di energia e risorse.
Dalle infrastrutture tecniche agli hub rigenerativi
Il passo successivo è culturale e urbanistico. Alla Biennale di Venezia 2025, lo studio Grimshaw Architects ha immaginato un data center integrato in un quartiere misto, con residenze, spazi pubblici e persino un birrificio urbano riscaldato dal calore dei server. “È un esempio visionario”, commenta Battisti, “ma ci mostra la direzione: trasformare queste infrastrutture da presenze anonime in hub multifunzionali, capaci di generare valore sociale, economico e ambientale”.
In questa visione, i data center diventano nuovi nodi civici, luoghi che ospitano attività educative, spazi verdi e iniziative culturali. Alcuni operatori, come Data4 in Francia, organizzano eventi aperti al pubblico e percorsi formativi per studenti, contribuendo alla costruzione di una cultura digitale consapevole e sostenibile.
Collaborare per accelerare il cambiamento
La transizione verso data center sostenibili non può essere solo tecnologica. “Serve un’alleanza tra mondo ICT, progettazione e industria delle costruzioni”, sottolinea Battisti. “Le aziende possono sperimentare modelli di microgrid e recupero energetico, i progettisti possono introdurre criteri rigenerativi nei bandi e nei masterplan urbani, mentre le istituzioni devono favorire regolamenti più rapidi e politiche di incentivazione”.
Le certificazioni ambientali e gli standard come il Living Building Challenge o il Net Zero Energy forniscono già strumenti per misurare e guidare questa trasformazione, ma è l’approccio rigenerativo a dare il passo successivo: edifici che non solo riducono il consumo di risorse, ma restituiscono più di quanto prelevano.
Una nuova infrastruttura per la transizione digitale
In un mondo sempre più dipendente dai dati, il futuro dei data center green sarà anche il futuro delle città. Integrazione urbana, energia pulita, circolarità dei materiali e restituzione delle risorse diventano le linee guida di una nuova progettazione sostenibile delle infrastrutture digitali.
“Ogni volta che parliamo di cloud, dovremmo ricordare che non è qualcosa di etereo: ha un’impronta tangibile fatta di energia, materiali e territorio”, conclude Battisti. “La vera sfida sarà renderla non solo più leggera, ma capace di rigenerare ciò che la sostiene”.