I profondi cambiamenti che caratterizzano l’attuale fase storica sono destinati a guidare la società e l’economia verso soluzioni sostenibili.Si parla di transizione ecologica in relazione ai diversi settori produttivi, non ultimo quello della GDO e della cold chain.
Le organizzazioni, le società, gli enti pubblici e privati investono sempre più risorse per rendere più ecologiche le loro operazioni, consapevoli che i cambiamenti possono portare ad un arricchimento dell’ambiente e dei profitti.
Dunque una supply chain può essere green?
La risposta è sì, tanto più che è stato delineato uno specifico approccio gestionale votato a ridurre l’impatto ambientale dei cicli di produzione di un determinato prodotto, detto appunto Green Supply Chain. La GSC interviene sia sui processi interni di un’azienda, sia sulle dinamiche che si creano con gli attori che partecipano nella filiera.
L’azienda tende ad analizzare la qualità dell’operato dei diversi anelli che compongono l’intera Supply Chain (lavorazione, trasporto, stoccaggio, vendita, etc). Tutto ciò implica un migliore coordinamento tra tutti gli attori della filiera che limita l’impatto ambientale e genera al contempo valore.
Verso una cold chain sostenibile
Nel caso specifico della cold chain, la filiera del freddo, esistono molti aspetti degni di attenzione per migliorare la qualità e l’efficienza ambientale dei processi.
In primo luogo, si possono progettare ambienti refrigerati per la lavorazione e lo stoccaggio dei prodotti attraverso pannelli coibentati performanti, come quelli proposti da Isopan per le celle frigorifere.
Ciò riduce la dispersione termica e, di conseguenza, anche la quantità di energia per refrigerare gli ambienti con la conseguente riduzione di gas climalteranti. Per approfondire leggi l’articolo dedicato “Isolamento termico di celle frigorifero ed edifici con Leaf”.
Inoltre, molti esempi di progetti per l’industria del freddo - che vantano l’utilizzo di pannelli isolanti specifici per la catena del freddo - hanno permesso l’unificazione di tutte le merceologie fresche. In tal modo, uno stesso camion può rifornirsi di diverse tipologie di prodotti, riducendo così i costi e le emissioni di CO2 grazie ad un minor consumo di carburante.
È quindi possibile ridurre l’impatto ambientale attraverso:
- Analisi delle singole fasi operative che compongono la cold chain;
- Armonizzazione dei processi a livello progettuale e tecnico;
- Coinvolgimento di tutti gli attori della filiera per potenziare la qualità e l’efficienza del servizio.
Tutto questo genera una serie di opportunità di miglioramento che incrementano anche il rendimento.
Oltre i confini: le opportunità della cold chain in Africa
Lo spreco e i consumi moderni riguardano non solo le energie ma anche le risorse naturali.
Millennials e paesi asiatici consumano 3 volte la media di alimenti freschi. La richiesta di cibo sano è aumentata esponenzialmente ma per movimentare scorte di cibo fresco occorre mantenere la catena del freddo.
A livello globale, l’Africa è la sola area nella quale la capacità di produzione non è ancora saturata rispetto alla domanda. Eppure, solo il 3% del raccolto è correttamente trattato secondo i requisiti della catena del freddo nel settore alimentare, rispetto al ben più sostanzioso 90% dell’Europa.
1/3 del raccolto complessivo viene sprecato a causa di una debole cold chain. L’inefficienza dell’infrastruttura che regge la catena del freddo compromette la durata e la qualità del cibo fresco.
Quindi cosa comporta lo spreco alimentare? Sicuramente il volatilizzarsi di un’opportunità di business che non riguarda il singolo produttore ma l’intera rete: dal coltivatore al distributore.
Questo induce una sostanziale incapacità di autosussistenza insieme a quella di esportazione dei prodotti freschi e, di conseguenza, di rilancio dell’economia locale e nazionale.
Come evitare lo spreco alimentare in Africa? Tra le principali soluzioni vi è il miglioramento della cold chain, che consentirebbe di esprimere appieno il potenziale di questo continente.
Non è solo un problema di produzione o marketing. Efficientare o, in molti casi costruire, una catena del freddo nel settore alimentare è ciò che contribuisce realmente a ridurre lo spreco e generare nuove opportunità lavorative.
È un auspicabile circolo virtuoso nel quale una buona opportunità di business così delineata permette al territorio di:
- crescere in modo strutturato, nel rispetto delle moderne tecnologie;
- impattare meno sull’ecosistema;
- evitare di ricevere solo aiuti di emergenza.
La ricerca nel campo dello spreco alimentare è all’origine della mission di Inspirafarms, una società che ha l’obiettivo di fornire alle piccole imprese agricole in crescita nei paesi in via di sviluppo - specialmente in Africa - gli strumenti, la tecnologia e le competenze per ridurre significativamente le perdite di cibo e i costi energetici e accedere a mercati di maggior valore per raggiungere una crescita sostenibile.
Per fare questo progetta, sviluppa e fornisce celle frigorifere e capannoni modulari ed efficienti dal punto di vista energetico puntando tutto sul potenziamento della cold chain.
Investire in sforzi di sostenibilità per minimizzare gli impatti negativi sull’ambiente è sicuramente il baluardo mondiale del green management.
Affiancare a questi sforzi anche un rafforzamento degli anelli deboli della catena di approvvigionamento, come spesso accade nella filiera del freddo, diventa non soltanto un’attestazione di responsabilità sociale ma, più concretamente, un’opportunità di crescita economica.
L’auspicio è che si riesca a innescare una sensibilizzazione sempre maggiore che passi attraverso un miglioramento efficace della cold supply chain per ridurre sensibilmente lo spreco alimentare e accelerare la transizione verso un’economia circolare.